La Pagliara Maje Maje, ossia la Pagliara di Maggio, celebra la Natura in rinascita e invoca la benevolenza della pioggia per un raccolto abbondante.
La tradizione risale a quando, per onorare il Dio della vegetazione, gli antichi contadini usavano rappresentarlo costruendo un cono di canne alto quasi due metri, cui venivano intrecciati con cura mazzetti di fiori profumati. Nella struttura della cosiddetta Pagliara, veniva lasciata un’apertura all’altezza del viso di chi, sacrificandosi, avrebbe indossato il cono e camminato lungo le strade del paese, per ricevere a secchi l’acqua gelida del buon auspicio.
Mantenendo il giusto equilibrio del dare-avere, in un gioioso spirito di servizio reciproco, gli antichi omaggiavano così l’amata terra, dalla cui misericordia sapevano di dipendere.
Ancora oggi a Fossalto la Pagliara risveglia l’anima del paese in festa, danzando e portando allegria nei cuori di tutti.
Raccolta dei fiori per il vestito della Pagliara.
In quest’occasione, le antiche tinozze in rame tornano nelle mani dei paesani di tutte le età, che gettano l’acqua sulla Pagliara da finestre e balconi.
Fermandosi di casa in casa per ricevere la scrosciata fredda di benedizioni, la Pagliara arriva a pesare ben oltre i suoi 50 kg iniziali, (dovuti anche alla struttura, oggi in ferro) sebbene la contagiosa allegria dell’indossatore vinca del tutto i segni della fatica.
Sono la gioia, l’impegno e la Fede, il vero cuore del rito della Pagliara Maje Maje.
Nei canti tradizionali sulle note della scupina, nelle trame colorate degli organetti, persino nei pon pon rossi alle caviglie dei bambini in abiti tradizionali, la vivacità solenne del rito accompagna in tutto la Pagliara per le vie del paese.
La sacralità della tradizione incontra poi in piazza il ritmo dei balli folcloristici, appena prima di lasciare spazio alla seconda protagonista della giornata: la lessima.
Anticamente, prima del nuovo raccolto, gruppi di contadini univano insieme i legumi secchi avanzati dalle riserve invernali, per condividerli in un’unica minestra, la lessima.
Ebbene, sulla scia di questa tradizione, ai fortunati partecipanti del rito spetta il buonissimo piatto di lessima, preparata fedelmente con cicerchie, fagioli, ceci e farro, accompagnata dall’immancabile pezzo di “pan e casc” insieme ad una manciata delle tanto ambite fave.
In questo piatto, semplice e gustoso, resta vivo il gusto semplice e speciale della condivisione, memoria delle comunità di una volta, radicate in nobili valori ed usanze lungimiranti.
Che il segreto di felicità e benessere fosse nel rispetto della Vita, nel duro lavoro e nella gratitudine per le cose semplici, e cioè le più preziose, i nostri cari antichi lo ben sapevano.
Ed oggigiorno, che il pianeta richiama a gran voce la premura che gli spetta, è solo buon senso prestare attenzione alla fede e ai profondi insegnamenti nascosti nei riti dei nostri antenati, per imparare nuovamente a prenderci cura della nostra amata terra, come lei sempre si prende cura di noi.
Nadia Mascioli
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